Debito

venerdì 19 luglio 2013

La creazione del consenso – Come si plasma l’opinione pubblica


Immagino che a molti di voi, se non a tutti, sia capitato di essere preso per matto quando si parla di argomenti che, per noi che navighiamo e cerchiamo le nostre notizie da fonti alternative, sembrano assolutamente normali. Così abbiamo imparato ad evitare certi argomenti, tanto si sa che non si arriva da nessuna parte. Ma, come scriveva Mia in un recente commento, la delusione è grandissima, anche perchè questa chiusura totale non ha nulla a che vedere con l’ignoranza (o forse sì? ;-) ): molte volte le persone più chiuse sono esperti nel loro settore, laureati, professionisti affermati. Ricordo con tenerezza l’amica Maria M., grazie alla quale ho scoperto per la prima volta la truffa dell’AIDS leggendo un suo pezzo su FdF, una sera che si è fermata a casa mia mi raccontava della totale incomunicabilità col marito (ingegnere, come lei), quando si affrontavano tematiche “complottiste“,  e anche con la loro cerchia di amici abituali, tutti laureati: totale chiusura anche sui temi più “semplici” e razionalizzabili, come ad esempio la creazione del denaro.
Come si viene a creare questa chiusura totale? In parte possiamo considerare la pigrizia, la non volontà di mettere in discussione le proprie certezze, in parte vale anche il fenomeno del “bias di conferma“, per cui, quando ci informiamo, tendiamo, inconsciamente, a selezionare le notizie che ci confermano nelle nostre convinzioni, e a scartare quelle che comporterebbero una rivisitazione del nostro sistema di pensiero (qualcuno lo ha definito “il frame“, cioè la cornice, il perimetro entro il quale stanno le cose che accettiamo, e che tiene rigorosamente fuori tutto ciò che ci può disturbare). Peccato, perchè in qualche corso mi hanno insegnato (e sottoscrivo) che la crescita è un allargare l’area del “comfort“, facendovi entrare cose che prima stavano nell’area del disagio; se i confini restano immutati, si può vivere anche per tanti anni senza crescere neanche di un millimetro.
Anch’io, come tutti, non faccio eccezione a queste regole. E così, se devo scaricarmi un documentario per il prossimo viaggio a Milano (in macchina mi sono fatto dozzine di documentari sui più disparati argomenti) cerco sempre qualcosa che mi rafforzi e mi confermi nelle mie idee. Ogni tanto, vuoi per sbaglio, vuoi per provare a vedere cosa dice “la concorrenza” guardo anche qualcosa che rappresenta una posizione diversa dalla mia, anche se di solito non riesco ad arrivare alla fine. Stavolta però mi sono impegnato, ho cercato di mettere da parte i pregiudizi, e mi sono guardato (e riguardato, non lo so così bene l’inglese da capire tutto la prima volta) un documentario della BBC sugli OGM. Anche perchè la BBC di solito fa bei documentari, e anche abbastanza imparziali.
Allora (vedi sopra, inizio di questo post): un ragazzo palestrato, un misto fra Matt Demon a DiCaprio, presentato come agricoltore tradizionale (secondo me è un attore, ma non ne faccio per questo una critica agli autori del documentario) decide di scoprire cos’è questa storia degli OGM, e capire perchè ci sia chi ne parla bene e chi ne parla male. E così incomincia un viaggio fra Inghilterra, Argentina, Stati Uniti, SudAfrica, Uganda, Europa. E con spirito aperto, senza pregiudizi, chiede , indaga, si fa un’idea e trasmette un’idea al pubblico che guarda. Delicata anche la conclusione: “E se? E se fossero gli OGM a salvare il mondo dalla fame?” come dire: prima di essere contrari, pensiamoci bene: non vorremo mica avere sulla coscienza tutti gli africano che muoiono per fame?
Immagino che chi veda questo documentario senza conoscere altro (proprio tutte quelle persone che di solito ci trattano da pazzi complottisti e con le quali non riusciamo ad intavolare un dialogo) possa essere facilmente convinto di questa serie di idee:
  • l’uomo ha sempre modificato la natura e le piante a suo uso e consumo;
  • la manipolazione genetica non è pertanto niente di nuovo rispetto all’attivtà dell’uomo in migliaia di anni;
  • grazie alle scoperte degli OGM si possono ottenere raccolti migliori, più abbondanti, più resistenti ai parassiti, e che richiedono pertanto minor uso di pesticidi;
  • gli OGM potrebbero essere la risposta ai problemi di produzione alimentare per le popolazioni del terzo mondo.
Ora è chiaro che se uno sente solo questa campana sarà molto difficile affrontare un dibattito aperto e serio. Noi che invece qualche altra campana la sentiamo, possiamo osservare una serie di superficialità e incongruenze macroscopiche, fra le quali riporto le prime che mi vengono in mente.
  • Il documentario è molto povero di numeri e cifre; molto viene riportato come impressione personale del protagonista (come quando sorvola in aereo le coltivazioni OGM dell’Argentina e dice “wow! Quante sono!”);
  • Viene detto che la quantità di pesticidi per un raccolto OGM può scendere anche ad 1 decimo di quelli necessari per un raccolto biologico; ma non viene accennato al depauperamento di sostanze nutritive che questi raccolti subiscono, tanto che animali alimentati con prodotti OGM hanno sviluppato moltissime forme di malattie e perdita della fertilità;
  • Viene fatto un esempio di manipolazione genetica sui generis: quello che si ottiene con un batterio agrario, che non ha niente a che vedere con le tecniche di inserimento forzato, e a caso, del materiale genetico proveniente da specie diverse (lo scopo è chiaro: far vedere come questi scienziati non facciano alcunchè di strano, o di imprevedibile, semplicemente mettono il nucleo di un seme a contatto col batterio, cosa che potrebbe succedere benissimo anche in natura, a differenza delle vere manipolazioni genetiche che qui non vegono illustrate);
  • viene dato per scontato che il problema della fame nel terzo mondo sia un problema di sottoproduzione alimentare: quando anche dati ufficiale dell’ONU confermano che la terra produce già oggi il 50% in più (sì, proprio così: una volta e mezzo) del fabbisogno mondiale (e ogni anno derrate alimentari vengono eliminate per mantenere i prezzi alti); il problema della fame è un problema di distribuzione e disuguaglianza (e debito ed espropriazione delle risorse naturali africane, dico io, come si vede anche in questo documentario);
  • non viene accennato minimamente ai problemi della salute, in particolare negli USA, che hanno cominciato ad aumentare in concomitamza dell’introduzione dei cibi GMO; in particolare, intolleranze alimentari, malattie auto-immuni e autismo, che ha molto a che vedere con la capacità dell’intestino e della flora intestinale di smaltire gli elementi velenosi che introduciamo, come ben evidenziato dalla dr.ssa Natasha McBride-Campbell);
  • non viene accennato ai problemi degli agricoltori indiani, indotti dalla Monsanto a comprare i semi GMO del cotone con la tossina BT, per comprare i quali, una volta indebitati, a fronte di raccolti di gran lunga inferiori agli anni precedenti si trovarono sul lastrico, con un episodio che rimarrà come un’onta tremenda nella storia dell’umanità, altro che camere a gas: il sucidio per disperazione e per debiti di 250.000 contadini indiani;
  • non viene accennato ai problemi rilevati al seguito dell’introduzione dell’ormone della crescita bovina (r-GBH), spiegato in questo documentario;
  • non viene detto come la soya GM sia resistente al Roundup, il potente pesticida della Monsanto: grazie all’introduzione di una sostanza, il Glyfosato, che è un chelante, cioè trattiene i metalli pesanti, e si trova sempre più nell’intestino delle popolazioni, come quelle USA, nel quale gli OGM sono presenti da una decina d’anni;
  • non dice per quale motivo la Monsanto e le sue “sorelle” (Bayer, DuPont, ecc.) si siano battute così strenuamente per impedire l’etichettatura dei cibi, fondando la lor battaglia sulla stupida affermazione che “il consumatore ne verrebbe confuso“. Ma come? La Food and Drug Administration, l’organismo che dovrebbe proteggere il consu,atore, vieta di etichettare i cibi che contengono OGM?
  • ad un certo punto dice addirittura: “non esiste uno standard per la valutazione della sicurezza di questi ritrovati“, come dire: noi li sottoporremmo pure a verifica scientifica, ma non è stato definito un protocollo… che peccato! Ecco perchè in Europa siamo indietro: non abbiamo ancora definito uno standard! Ma come, caro Jimmy, stai in UK e non ti ricordi del Dr.Pustzai? Quello che, incaricato di valutare scientificamente gli effetti collaterali dei cibi GMO, fu licenziato in tronco dopo 35 anni di onorato servizio quando appariva chiaro che stava scoprendo effetti collaterali pesantissimi, a seguito di un paio di telefonate da Downing Street, da quel burattino degli USA che risponde al nome di Tony Blair così brillantemente sputtanato da Roman Polanski nel suo “The Ghost writer“?
  • Una delle argomentazioni più “forti” è quella che, di fatto, gli OGM sono già presenti nella nostra dieta, volenti o nolenti: e quindi è meglio che ce ne facciamo una ragione; e questa dovrebbe costituire una motivazione efficace. Sì, andate a vedere lo stato di salute dei cittadini USA: l’impennata di malattie auto-immuni, intolleranze alimentari, ecc., e poi ditemi se quello è un modello da prendere ad esempio.
Insomma, un minimo di informazione e un minimo di occho critico permette di smascherare, anche senza chiamarsi Altieri, questi maldestri tentativi di propaganda sociale.
Ma ai nostri amici/colleghi /parenti che guardano ancora la Rai e Mediaset, a loro, chi glielo dirà?
Coraggio ragazzi, rimbocchiamoci le maniche e facciamo il nostro dovere. Con pazienza, tanta pazienza, magari un po’ di maieutica (Socrate: far uscire la verità dall’interlocure, perchè nessuno è così convinto di qualcosa come chi quel qualcosa l’ha scoperto da solo); ma non possiamo tirarci indietro.
Lanciamo sempre il sasso nello stagno. Qualcuno si volterà, e ci chiederà: perchè dici questo?

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