Debito

lunedì 23 settembre 2013

UDITE UDITE! IL PROBLEMA DEGLI ITALIANI E’ CHE HANNO TROPPE BANCONOTE IN TASCA! (LE BANCHE SPINGONO PER LA “MONETA ELETTRONICA” MA NON VOGLIONO MOLLARE L’OSSO DELLE COMMISSIONI…)

L'ultimo blitz è scattato, come nella migliore tradizione, in piena estate, quando mezza italia è sotto l'ombrellone. Martedì 6 agosto due senatori del Popolo delle libertà, Cinzia Bonfrisco e Antonio D'Alì, hanno presentato un emendamento al cosiddetto decreto "del fare" per rialzare a 3.000 euro la soglia sull'utilizzo del denaro contante, che Mario Monti aveva fissato a quota mille.
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Il governo ha espresso parere contrario e la proposta è stata bocciata. Ma, c'è da scommetterci, l'argomento tornerà presto a far capolino nelle aule parlamentari, perché la massima libertà nell'uso del cash è un pallino di Silvio Berlusconi & Co. E una mano santa per il partito degli evasori fiscali più incalliti.
A fare da apripista, il 2 luglio, era stato non a caso un altro esponente del Pdl: il sottosegretario allo Sviluppo Economico, Simona Vicari, molto cara al presidente dei senatori berlusconiani, Renato Schifani. «Così com'è oggi, la soglia rappresenta una camicia di forza ai cittadini e frena la ripresa e la crescita in tutti i settori», aveva cinguettato.
Aggiungendo che la sua idea incontrava il favore del ministro, il Pd Flavio Zanonato (che pur essendo piuttosto loquace era rimasto muto come un pesce). Così aveva concluso la Vicari: «Bisogna rivedere la legge senza pregiudizi e furori ideologici (...) autorevoli studi e pubblicazioni dimostrano che sulla lotta al riciclaggio e all'evasione fiscale la riduzione della soglia di circolazione del contante non ha effetti decisivi».
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Quali tomi abbia compulsato la Vicari resta un mistero. Perché che il sommerso viva di nero e il nero si nutra di contante lo sanno anche i bambini. Tanto che un altolà era arrivato a stretto giro di posta dalla Corte dei Conti. La magistratura contabile aveva detto che il tetto all'uso del denaro liquido andava sì cambiato, ma per abbassarlo ulteriormente. «È intuibile come la gran parte delle transazioni che possono dar luogo all'occultamento dei ricavi si addensi al di sotto della soglia dei mille euro», si legge in una relazione presentata dieci giorni dopo dal presidente, Luigi Giampaolino.
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La battaglia sull'uso del contante (che oggi, paradossalmente, è esentasse, al contrario di assegni, cambiali e conti correnti, tutti colpiti da un bollo) non è cominciata ieri. Nel 2007, un anno dopo aver vinto le elezioni, Romano Prodi ha abbassato il tetto da 12.500 a 5.000 euro. E stabilito, con il decreto Bersani-Visco, un ulteriore décalage per i soli professionisti: la soglia sarebbe dovuta scendere a 1.000 euro nel luglio 2007, a 500 un anno dopo e addirittura a 100 euro (lo stesso limite oggi in vigore in Germania) nell'estate del 2009.
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Il piano è però rimasto sulla carta. Perché a palazzo Chigi è arrivato Silvio Berlusconi. E Giulio Tremonti, l'ex superministro dell'Economia che pagava in contanti la metà dell'affitto dell'appartamento romano al suo più stretto collaboratore (e coinquilino) Mario Milanese, lesto ha ripristinato il limite dei 12.500 euro (giugno 2008).
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Salvo poi essere costretto dalla crisi della finanza pubblica a dare, suo malgrado, un giro di vite nella lotta all'evasione fiscale, riportandolo a 5.000 (maggio 2010) e poi a 2.500 (agosto 2011). Quindi il Cavaliere ha dovuto passare la mano a Monti, che dopo aver accarezzato l'idea di scendere a 500, ha poi invece stabilito, con l'articolo 12 del decreto "Salva Italia" (dicembre 2011), la quota attuale di mille euro.
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UN TESORO INCALCOLABILE
La partita è sempre aperta. Del resto, la posta in palio è un tesoro immenso: il sommerso. «Si tratta», come scrive con semplicità il tributarista e collaboratore del "Sole 24Ore" Ernesto Maria Ruffini nel suo "L'evasione spiegata a un evasore", «di tutte quelle attività economiche che non sono misurate dalle statistiche ufficiali: alcune intenzionalmente, come il volontariato o il lavoro domestico; altre perché nascoste, come le attività criminali o l'evasione fiscale». Quasi per definizione, quanto sia esattamente il sommerso è impossibile sapere.
Il documento conclusivo del Gruppo di lavoro su economia non osservata e flussi finanziari, guidato dall'attuale ministro del Lavoro e delle politiche sociali, Enrico Giovannini, nel 2011 aveva stabilito per il valore aggiunto prodotto dall'area del sommerso economico una forchetta tra il 16,3 e il 17,5 per cento del prodotto interno lordo. In soldoni, tra i 255 e i 275 miliardi di euro (dato 2008), ben nascosti nei fatturati dell'agricoltura (32,8 per cento del totale), del terziario (20,9 per cento) e dell'industria (12,4).
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I numeri di Giovannini coincidono con quelli di un rapporto dell'ufficio studi della Confcommercio ancora fresco di stampa, essendo datato luglio 2013. Nel documento si parla di un sommerso pari al 17,4 per cento, che su un Pil stimato per il 2013 a 1.563 miliardi di euro fa 272 miliardi.
Ma il professor Friedrich Schneider dell'Università di Linz, guru mondiale della materia, che misura l'economia sommersa osservando proprio l'utilizzo del denaro contante, ha diviso gli Stati dell'Ocse in tre gruppi. Mettendo l'Italia, insieme a tutti i Paesi mediterranei e al Belgio, in quello dove ciò che non risulta dalle statistiche sta tra il 20 e il 30 per cento.
Saremmo insomma come minimo al di sopra dei 300 miliardi, come del resto avvalorano stime basate su dati Eurosat, che parlano di 330 miliardi. E che a loro volta non si discostano da quelle dell'istituto di geopolitica texano Stratfor Global Intelligence: gli analisti guidati dal politologo George Friedman indicano una forchetta tra il 17 e il 21 per cento del Pil, cioè tra i 270 i 340 miliardi (dati 2012). Ma c'è chi va ancora oltre.
È il caso di uno studio del 2012 targato Eurispes ("L'Italia in nero-riflessioni sull'economia sommersa"), che si spinge a ipotizzare un nero pari a quasi 530 miliardi. Una cifra che si avvicina a quella (575 miliardi) del totale delle venti manovre economiche varate negli ultimi dodici anni dai governi di turno.
In ogni caso, chiunque abbia ragione sui conti, si tratta di una situazione del tutto fuori controllo, se solo si pensa che il fenomeno è valutato al 6,7 per cento in Gran Bretagna, al 5,3 negli Stati Uniti, al 3,9 in Francia e addirittura allo 0,3 in Norvegia. Ed è a causa del sommerso che la pressione fiscale effettiva, quella cioè che grava sui contribuenti onesti, è arrivata al 54 per cento, quasi dieci punti più in alto di quella teorica (44,6 per cento).
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ALLO SPORTELLO 343 MILIARDI
Le cifre in discussione sono dunque tali da far apparire ridicolo il balletto in corso sulla manciata di miliardi (quattro) che il governo dovrebbe racimolare per tagliare l'Imu. Il recupero (almeno in parte) del malloppo nascosto è però possibile solo se si mette un freno alla circolazione delle banconote, obbligando da un lato, e incoraggiando dall'altro, chi acquista beni e servizi a utilizzare strumenti di pagamento tracciabili. Scrive Schneider in "The shadow economy in Europe" (2013) che la rilevanza dell'economia sommersa sul prodotto interno lordo degli Stati dell'Unione europea diminuisce all'aumentare del numero di transazioni effettuate tramite carte di pagamento.
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Il che è certamente vero. Come lo è anche che il sommerso aumenta quando circolano più banconote. «Grecia e Italia sono i Paesi europei che mostrano i prelievi di contanti di importo medio più elevato (rispettivamente 250 e 175 euro) e contestualmente», nota su lavoce.info l'economista del Centro Europa Ricerche Carlo Milani, «hanno la più alta incidenza dell'economia sommersa sul Pil».
Ma sul fronte dei sistemi di pagamento l'Italia ha accumulato un ritardo drammatico. Un paper della Banca d'Italia, datato novembre 2012 e intitolato "Il costo sociale degli strumenti di pagamento", dice che da noi il contante viene usato nell'82,7 per cento delle transazioni, contro una media dell'Europa a 27 del 66,6 cento. Il ricorso alla carta di pagamento è fermo a quota 6,4 per cento (contro il 13,2 dell'Europa a 27).
Anche perché da noi di carte ce ne sono di meno: 1,2 per abitante, secondo un report di Datamonitor, contro la media Ue di 1,5, che nasconde picchi di 2,4 in Gran Bretagna e di 1,8 in Olanda e Belgio. Risultato: secondo i dati dell'Istituto per la competitività nel 2011 in Italia sono stati effettuati pagamenti con carte di credito o di debito (il Bancomat) per 122 miliardi, pari all'8 per cento del Pil.
In Francia la cifra raggiunge i 393 miliardi (19,6 per cento del Pil) e in Gran Bretagna i 578 miliardi (33,1 per cento). Un po' di italiani tiene pure la carta in tasca, ma al momento di pagare il conto preferisce tirare fuori denaro frusciante, magari su richiesta dell'esercente: i calcoli della Bce dicono che il 31 per cento dei compratori estrae un fascio di banconote anche quando deve regolare conti per importi compresi tra 200 e 1.000 euro. Se poi lo scontrino (quando c'è) è sotto i 50 euro, a pagare in contanti è il 98 per cento degli italiani, percentuale che scende solo al 93 quando la cifra è compresa tra i 50 e i 100 euro (Rapporto Ipsos, giugno 2012).
Secondo i calcoli di Bank for International Settlements, nel 2008 in Italia le operazione pro capite con carta erano ferme a quota 24,5, contro una media per l'area euro di 57 e un picco di 124,5 per la Gran Bretagna (gli Stati Uniti erano a 191,1). Poi la situazione è migliorata, ma non il divario con i grandi paesi.
Nel 2011, dice la Guardia di Finanza, l'Italia era salita a 68 operazioni cashless pro capite, ma nel frattempo l'area euro era arrivata a quota 182, la Francia a 255, la Gran Bretagna a 257 e l'Olanda addirittura sopra le 300. Lo stesso vale per i Bancomat, utilizzati molto più per prelevare contante (oltre 160 miliardi nel 2012) che per pagare i negozianti (le operazioni sui Pos, i terminali elettronici, risultano ferme a 73 miliardi). Si legge nel rapporto annuale dell'Unità di informazione finanziaria della Banca d'Italia che nel 2011 il totale di prelievi e versamenti è ammontato a 343.356 milioni di euro.
QUINDICI MILIARDI DI BIGLIETTI
Se non fossimo in un Paese che ha un'evasione fiscale da Guinness dei primati e che risulta al venticinquesimo posto su 26 (preceduto da Messico, Slovenia e Grecia) nella classifica sulla diffusione di pagamenti irregolari e tangenti elaborata dalla Confcommercio su dati del World Economic Forum e della Banca mondiale, l'uso della moneta elettronica converrebbe a tutti. In primo luogo perché, anche se pochi ne sono consapevoli, il contante ha un costo sociale (cioè per il sistema economico nel suo complesso) molto elevato.
Bisogna infatti produrlo, trasferirlo in sicurezza e custodirlo: e non è proprio uno scherzo, se la Guardia di Finanza ha calcolato che nel 2011 circolavano sul territorio nazionale 15 miliardi di banconote, per un controvalore di 870 miliardi di euro. Secondo la Bce per il denaro l'Europa a 27 spende lo 0,46 del suo prodotto interno lordo, pari a 60 miliardi. E l'Italia, dove i biglietti di banca sono più diffusi che altrove, per palazzo Koch sborsa da sola 8 miliardi (10 in base al rapporto 2011 di Cap Gemini), lo 0,52 per cento del Pil (contro una media europea dello 0,40). Che vuol dire 133 euro pro capite (senza prendere in considerazione le rapine subite dai privati).
La moneta elettronica invece, rendendo il circuito economico più efficiente, aiuta la crescita. Uno studio del 2013 di Moody's Analytics sostiene che le carte di pagamento hanno generato a livello mondiale una maggior crescita di 983 miliardi di dollari e due milioni di posti di lavoro tra il 2008 e il 2012, dando una spinta dello 0,3 per cento alle economie mature e dello 0,8 per cento a quelle in via di sviluppo.
Restando alla sola Italia, l'Istituto per la competitività, elaborando i dati di Eurostat, della Bce e del professor Schneider, ha calcolato che se ogni italiano riducesse di 15 euro i prelievi medi che effettua al Bancomat ci sarebbe una diminuzione dell'economia sommersa in grado di garantire un maggior gettito di 9,8 miliardi.
E che se ci fossero in circolazione dieci milioni di carte in più (incremento inferiore a quello registrato tra il 2006 e il 2011) si avrebbe un calo del sommerso tale da far incassare al fisco 5 miliardi in più. Il combinato disposto dei due fattori darebbe insomma quasi quattro volte la somma necessaria a sopprimere l'Imu.
E un documento dell'Ufficio analisi economiche dell'Abi va ancora oltre: per i banchieri un aumento di dieci punti percentuali delle famiglie dotate di carta farebbe riemergere 10 miliardi. E se a dotarsi del tesserino di plastica fossero proprio tutte i nuclei familiari la cifra salirebbe a 40 miliardi.

QUELLI CHE CI MARCIANO
Chi compra usando la carta ha solo vantaggi: a partire dal fatto di non rischiare di smarrirlo o farselo rapinare (la sicurezza è il principale driver al ricorso ai pagamenti elettronici, come dice uno studio del 2012 di Hall & Partners). Se poi l'acquirente usa la carta di credito sosterrà materialmente l'esborso solo in un secondo tempo e senza pagare interessi.
Ma chi ci guadagna in maniera più consistente, come dimostra un recente studio di Edgar Dunn & Co., è l'esercente, che vende di più, risparmia sui costi di gestione del contante, ed è garantito dalle banche. I conti dicono che il valore aggiunto derivante dall'uso delle carte è pari al 7,8 per cento dell'ammontare delle transazioni effettuate con questi strumenti. Mentre il costo complessivo si ferma al 3,4 per cento. Insomma il negoziante (o il ristoratore o il parrucchiere) ha tutto da guadagnarci.

E infatti è lui a finanziare con la quota maggiore il sistema che deve garantire la remunerazione delle due banche parte del business: la sua (che trattiene una commissione) e quella del compratore, che si fa girare dalla prima una parte della commissione stessa per aver dato la sua garanzia sull'importo dovuto dall'acquirente. Se dunque l'esercente non si dota del Pos, sostenendo che il sistema è troppo caro, c'è una sola spiegazione logica: non ha alcuna intenzione di far sapere al fisco che ha incassato quella somma.
Cosa che diventa molto rischiosa se accetta un pagamento tracciabile. Il resto sono solo balle. Come quella di chi sostiene che in Italia si usano poco le carte perché la popolazione è più anziana che altrove: la Germania ha la stessa quota di ultrasessantacinquenni (il 20 per cento) e il doppio dei tesserini magnetici.
SOSTIENE IL GOVERNO
Il problema vero è dunque l'evasione fiscale. E i milioni di voti che la lotta nei suoi confronti può spostare e senza i quali non si vincono le elezioni. Un fattore che pesa, sia pure in misura molto diversa, in tutti i Paesi. E infatti i politici su questo fronte traccheggiano a ogni latitudine. In Italia il governo Monti aveva promesso di intervenire, regolamentando le commissioni bancarie a carico dei commercianti. Si era parlato di un provvedimento del ministero dell'Economia concertato con quello dello Sviluppo Economico, sentite la Banca d'Italia e l'Antitrust, che a gennaio scorso ha espresso il suo parere. Quattro paginette dove si invoca maggiore trasparenza e dunque concorrenza.
Dalla lettura del documento dell'Authority si capisce chiaramente che l'esecutivo è sceso a più miti consigli: stando alla bozza, che risale a diversi mesi fa, il decreto non interviene sulla commissione pagata dall'esercente al proprio istituto di credito, ma si limita a stabilire che non debba mai salire quella interbancaria (in genere tra lo 0,6 e lo 0,7 per cento, con punte dell'1 per cento). Una mezza pagliacciata, insomma. Per giunta sparita in qualche cassetto del nuovo governo. Né più incisiva appare l'iniziativa strombazzata nei giorni scorsi dalla Commissione europea.
A Bruxelles hanno approvato una proposta di regolamento in base alla quale scatterebbe un tetto alle commissioni interbancarie dello 0,2 per i Bancomat e dello 0,3 per le carte di credito. Uno sconto a favore della banca del commerciante, che potrebbe (e non dovrebbe: e c'è una bella differenza) trasferirlo alla tariffa applicata al suo cliente: se anche lo facesse per l'intera somma (e quando mai) si tratterebbe di una limatura della commissione di mezzo punto percentuale.
Nel caso italiano, significherebbe offrire uno sconto dello 0,5 per cento a un gioielliere, per esempio, che se invece si fa pagare in contanti e non mette gli importi nella sua dichiarazione dei redditi risparmia il 23 per cento sui primi 15 mila euro e il 27 sui successivi 3 mila (in media la categoria sta, scandalosamente, a quota 18 mila). Da ridere, insomma.
In realtà, una soluzione semplice ci sarebbe. L'hanno sperimentata, all'inizio degli anni Duemila, nella Corea del Sud. Dove prima hanno imposto un tetto al contante equivalente a 42 dollari. Poi hanno concesso ai titolari di carta che la utilizzavano per gli acquisti e si prendevano la briga di conservare la ricevuta uno sconto fiscale (che per giunta garantiva la partecipazione a una lotteria) fino a un massimo di 4.200 dollari l'anno o del 20 per cento del reddito. E ribassato del 2 per cento l'Iva ai commercianti che dimostravano di aver incassato tramite Pos. Ha funzionato.
Algebris Investments ha studiato il caso. E sulla base di dati della Myongji University si è presa la briga di calcolare che quelle semplici misure hanno ridotto il sommerso di cinque punti in percentuale sul Pil. Da noi vorrebbe dire recuperare d'un colpo 20 miliardi di gettito fiscale.
Insomma, fare si potrebbe fare. Ma siamo in Italia. I governi si baloccano solo con ipotesi che non stanno in piedi. E, soprattutto, non fanno un baffo agli evasori.

venerdì 13 settembre 2013

Ecco cosa fanno i ribelli che Obama vuole aiutare. Immagini brutali.



Quello che segue è una serie straziante di fotografie di militanti islamici che pubblicamente decapitano un giovane siriano nella città di Keferghan, nei pressi di Aleppo, il 31 agosto 2013.

A causa della pericolosità della situazione  all'interno della Siria, non è stato possibile confermare l'identità o appartenenza politica della vittima. Né siamo certi circa la motivazione dei suoi assassini. Un testimone oculare che vive nella zona ed è stato contattato la settimana dopo la decapitazione ha affermato che i carnefici erano di ISIS, un Al-Qaeda in franchising operante in Siria e in Iraq.

Di seguito il link al sito del Time dove è possibile vedere tutte le immagini. A causa della eccessiva brutalità delle foto si sconsiglia la visione a persone sensibili.

Ecco gli intrecci tra Monte Paschi di Siena ed i politici italiani


Guido Ruotolo per La Stampa
Massimo DalemaMASSIMO DALEMAprodi romanoPRODI ROMANO
Passi che il presidente della banca di Siena, stiamo parlando del Monte dei Paschi di Siena, abbia rapporti molto stretti con l'attuale Pd, un partito che ha tra i suoi dirigenti e militanti vecchi dirigenti e militanti del Pci. Poi bisogna vedere come si sono tradotti questi rapporti. E questo è un filone d'indagine che la a procura di Firenze ha iniziato ad approfondire avendo già raccolto diverse testimonianze.

Ma a leggere i brogliacci delle intercettazioni telefoniche del presidente di Mps dell'epoca, stiamo parlando del 2010, Giuseppe Mussari, colpiscono le relazioni di interessi molto stretti tra Mussari, cioé la banca, e diversi esponenti del Pdl, falchi e colombe, pitonesse comprese.

Per non dimenticare nessuno, in questi brogliacci si citano: Matteo Renzi, Massimo D'Alema, Romano Prodi, Giuliano Amato,Enrico Letta, Nicola Latorre, Pierluigi Bersani, Piero Fassino. Nomi di una squadra politicamente nota, quella del Pd a vario titolo. Poi ci sono le sorprese del Pdl: Silvio Berlusconi, Gianni Letta, Daniela Santanché, Guido Crosetto.

Il neo giudice della Corte Costituzionale, Giuliano Amato, il 14 febbraio del 2010 parla con Mussari e gli chiede «se è vera la voce circa la sua candidatura all'Abi, in modo tale da fare qualcosa per sostenerlo». Mussari conferma l'indiscrezione. C'è un'altra conversazione registrata con Amato, il primo aprile di quell'anno. «Mi vergogno a chiedertelo - esordisce il professore Amato - ma per il nostro torneo ad Orbetello. È importante perché noi siamo ormai sull'uso... Che rimanga immutata la cifra della sponsorizzazione. Ciullini ha fatto sapere che insomma il Monte vorrebbe scendere da 150 a 125». Risponde Mussari: «Va bene. Ma la compensiamo in un altro modo». Amato: «Guarda un po' se ci riesci. Sennò io non saprei come fare. Trova un gruppo». Mussari lo tranquillizza concludendo: «Lo trovo. Contaci».

Il 24 febbraio Piero Fassino chiama Mussari per sapere quando lo potrà incontrare a Roma. Il presidente Mps è per una settimana in ferie. «Ricontattami quando rientri per fissare un incontro. Così facciamo un po' il punto totale».

Il 4 marzo tocca a Romano Prodi chiamarlo per invitarlo a un convegno sull'Africa: «Non ho nessuna intenzione di rientrare in politica». Con Mussari, Prodi vuole parlare «del pericolo futuro della speculazione internazionale».

Il 12 marzo Mussari si reca a Palazzo Grazioli. La sera prima, confida al sindaco di Siena Cenni, era a cena dal presidente Berlusconi insieme al direttore generale Mps, Antonio Vigni.

Il 17 marzo arriva la telefonata del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Gianni Letta: «E' possibile concedere al Teatro Biondo di Palermo un extrafido di 1.5 miliardi di euro garantito da finanziamenti assicurati dalla Regione e dal Comune». Mussari risponde che se ne occuperà «immediatamente».

Il 25 marzo Daniela Santanché gli chiede di fissare un appuntamento a Roma per il suo socio, Giampaolo Angelucci del gruppo Tosinvest (che è già cliente Mps). Il presidente Mussari le risponde che la ricontatterà il prossimo lunedì. Anche l'allora sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, vuole incontrare il presidente Mps, e gli dà appuntamento per il martedì successivo in ufficio, al ministro della Difesa.

Il 6 aprile Mussari è a Roma, e dice al deputato che vuole dimettersi per candidarsi a sindaco di Siena, Franco Ceccuzzi, di aver incontrato Massimo D'Alema e «di averlo informato dell'iniziativa. A tal proposito D'Alema ha detto di voler prima sentire Casini». in un'altra occasione, Mussari parla di politica con D'Alema che lo va a trovare a Siena, in Banca.

La segretaria, il 19 aprile, gli rammenta che nella prossima andata a Roma dovrà incordare Bersani, Enrico Letta, Latorre, l'ingegnere Caltagirone. A Fabio Borghi, Mussari «gli dice di essere stato dal sindaco di Firenze, Matteo Renzi, che aspetta che lo contatti telefonicamente per fissare un appuntamento».




SVELATO IL PIANO PER PORTARE L’ITALIA FUORI DALL’EURO ?


DI MAURO BOTTARELLI
ilsussidiario.net

Comincio a pensare che la Bce non sia una banca centrale, ma la vera sede del governo italiano, visto le sempre maggiori conferme che giungono in tal senso. L’ultima, a dir poco inquietante, è contenuta nel nuovo libro dell’ex membro del consiglio esecutivo dell’Eurotower, Lorenzo Bini Smaghi, “Morire di austerity”. Ovvero, nell’ottobre-novembre 2011 Silvio Berlusconi stava seriamente ponendo in essere un piano per far uscire l’Italia dall’euro, ragione che portò al suo immediato allontanamento da Palazzo Chigi per volontà dei “gendarmi” dell’eurozona.

A seguito, “Nel 2011 l'Italia aveva formulato dei piani per uscire dall'euro” (Ambrose Evans-Pritchard, blogs.telegraph.co.uk);

Nello specifico, il Cavaliere avrebbe discusso del ritiro italiano dalla moneta unica durante meeting privati con altri governanti europei, con ogni probabilità Angela Merkel e Nicolas Sarkozy. Testualmente, il libro dice che «l’ipotesi d’uscita dall’euro era stata ventilata in colloqui privati con i governi degli altri paesi dell’euro». Ma non basta. Per Bini Smaghi, la Merkel è rimasta convinta della possibilità di espellere la Grecia dall’eurozona fino al tardo autunno del 2012, salvo poi essere riportata a più miti consigli dalla Bundesbank, la quale le fece notare i 574 miliardi di euro di crediti che vantava verso le banche centrali di Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia, Cipro e Slovenia attraverso il programma Target2. Quindi, un altro mito che crolla: non è vero che il sistema di pagamento interno della Bce è soltanto una variazione tecnica, senza rischi significativi, in caso una nazione decidesse o fosse obbligata a lasciare la moneta unica.

Per Bini-Smaghi, infatti, «la banca centrale (di quel Paese, ndr) non sarebbe stata in grado di ripagare le liabilities accumulate verso altri membri dell’eurosistema, le quali sono registrate nel sistema di pagamento interno dell’Unione (Target2). L’insolvenza provocherebbe perdite sostanziali per le controparti nelle altre nazioni, inclusi Stati e banche centrali». Ora, non so se Bini-Smaghi abbia raccontato una bugia o la verità, ma resta il fatto che un ex membro della Bce, nonché uomo dell’Italia a Francoforte per anni, ha scritto nero su bianco che Berlusconi stava pensando di uscire dall’euro, ne aveva parlato con altri governanti europei in riunioni e visite private e per questo è stato fatto fuori nell’inverno del 2011.

Questo, a casa mia, si chiama golpe. E apre nuovi interrogativi: non sarà che la cavalcata dello spread cominciata nell’estate di quell’anno e culminata con quota 575 prima dell’arrivo a Palazzo Chigi di Mario Monti fosse frutto di un accordo tra Bce-Bundesbank e governo tedesco per far fuori Berlusconi, dopo che questo aveva reso partecipe la Merkel dei piani che gli frullavano per la testa? Si spiegherebbe il perché di quegli 8 miliardi di debito italiano scaricati da Deutsche Bank nella primavera 2011, gridandolo ai quattro venti e coprendosi oltretutto con l’acquisto di cds. E si spiegherebbe il perché nessuno chiese conto al gigante tedesco di quanto fatto, né la Bce, né l’Eba. Dubbi, ovviamente senza una riprova se non la parola di Bini-Smaghi. Il quale, se ricorderete, per un periodo fu in predicato di finire a capo di Bankitalia al posto di Mario Draghi ma poi decise di accettare un incarico accademico in una prestigiosa università statunitense: andò davvero così? O quando ebbe la conferma che dentro Bankitalia il suo nome era sgradito e che Monti non avrebbe fatto nulla per perorare la sua causa preferì anticipare tutti e crearsi una nobile alternativa? Quanto scritto nel suo libro, quindi, va inteso come la classica pariglia che Bini-Smaghi ha voluto restituire a Monti e Napolitano? Solo lui potrebbe confermarlo, ma gli indizi e le coincidenze sono tanti, davvero troppi per bollare quelle parole solo come fantasie.

Ieri, poi, è giunta l’ennesima riprova, l’ultimo ed ennesimo siluro della Bce, di fatto quasi una seconda lettera di compiti a casa al nostro governo, seppur sottoforma di allarme apparentemente rituale. Per la Banca centrale europea, infatti, il forte aumento del fabbisogno finanziario italiano, salito a 51 miliardi a luglio 2013 a causa del rimborso dei debiti verso le imprese, mette in risalto i rischi crescenti per il conseguimento da parte dell’Italia dell’obiettivo di disavanzo delle amministrazioni pubbliche nel 2013 al 2,9% del Pil. Ad agosto, ha rimarcato la Bce, il governo italiano ha annunciato, per l’anno in corso, l’abolizione della prima rata dell’imposta sulle abitazioni principali di proprietà: il mancato gettito (pari a 2,4 miliardi di euro circa, ossia lo 0,1% del Pil) sarà compensato mediante un contenimento della spesa e maggiori entrate. Sempre in agosto, il Parlamento ha poi deciso di rinviare di tre mesi, al 1 ottobre, l’aumento di 1 punto percentuale dell’aliquota ordinaria dell’Iva, anche se le inferiori entrate dovute a tale rinvio saranno bilanciate da maggiori accise su alcuni prodotti e da imposte dirette temporaneamente più elevate. Infine, è stato convertito in legge il Decreto del fare, che prevede una serie di misure intese ad accrescere gli investimenti in infrastrutture, semplificare le procedure burocratiche, aumentare il credito alle imprese (soprattutto alle piccole e medie imprese) e migliorare l’efficienza della giustizia civile.

Insomma, la Bce si è sentita in dovere di entrare a gamba tesa sulle scelte di politica economica italiana, casualmente ponendo l’accento su uno dei nodi più spinosi nel rapporto tra Pd e Pdl, ovvero l’Imu. Come se non bastasse, altra frecciata sulla questione dell’Iva, ancora in discussione seppur con un consenso generale che vede l’esecutivo pronto praticamente a qualsiasi mossa pur di evitare una decisione che potrebbe risultare fatale in un contesto di consumi e domanda interna praticamente ferma. Oltretutto, questa preoccupazione preventiva appare strumentale anche per il fatto che una sorta di offsetting per il mancato gettito garantito dall’aumento dell’Iva è già stato posto in essere dall’aumento delle accise e di altre tasse, seppur in maniera transitoria.

Come mai la Bce ha sentito il bisogno di fare le pulci solo all’Italia? La Spagna non mostra debolezze nell’azione di contrasto della crisi da parte del governo, al netto della delirante politica di abbattimento dei cantieri bloccati dalla crisi per alleggerire i bilanci delle banche e cercare di stimolare la domanda riducendo l’offerta (ci vorranno almeno 10 anni, visto quanto si è costruito durante il boom zapateriano)? Vogliamo parlare della Francia e del suo tasso di disoccupazione, con il governo che offre come unica risposta la volontà di attaccare la Siria? Evito per carità di patria di parlare di Grecia e Cipro, ma il Portogallo mi sembra calzante, come esempio: come ha fatto Lisbona a raggiungere il risultato dell’avanzo primario? Privatizzando asset pubblici, una manovra assolutamente una tantum, ma non mi ricordo di intemerate della Bce contro il Paese lusitano, soprattutto durante i giorni difficilissimi della crisi di governo e del rimpasto - non ancora compiuto fino in fondo - di inizio agosto. L’Italia, invece, proprio nel pieno del periodo peggiore per le aste e con l’esecutivo la cui vita appare appesa a un filo, può essere bacchettata en plein air e additata al pubblico ludibrio dei mercati. E meno male che a capo della Bce c’è un italiano! 

Sforiamo il 3% di ratio debito/Pil? Chissenefrega dico io, questa Europa è la stessa che ci massacra non appena può, è l’istituzione alla quale diamo più di quanto riceviamo, è il simposio che permette all’Eba di fare figli e figliastri nei criteri di valutazione degli assets bancari, è il direttorio che per dar retta all’azionista di maggioranza, la Bundesbank, ci ha fatto spendere tre volte tanto per non salvare la Grecia, quando mettendo mano al portafoglio tre anni fa avremmo già risolto il problema ed evitato il contagio (ma non si poteva, perché le banche tedesche dovevano prima scaricare a buon prezzo la carta igienica ateniese che avevano in portafoglio), è il Leviatano che non azzecca una previsione, rivede le stime ogni settimana, parla di ripresa da tre anni senza che nessuno abbia visto nemmeno l’ombra di un green shot, è il governo non eletto che impone ai nostri comuni virtuosi di non poter spendere i soldi che hanno in cassa - creando sì, in quel caso, occupazione sana e reale - in ossequio al suo delirante Patto di stabilità. 

Per quanto ancora dovremo abbassare la testa e dire sì? Viene da chiedersi se il governo non debba dotarsi - e in fretta - di un ministro delle Finanze e non di un pedissequo portavoce di Mario Draghi e dei desiderata della Bce, quale è Saccomanni.

Mauro Bottarelli
Fonte: www.ilsussidiario.net
Link: http://www.ilsussidiario.net/News/Economia-e-Finanza/2013/9/13/SPY-FINANZA-Svelato-il-piano-per-portare-l-Italia-fuori-dall-euro-/3/426592/
13.09.2013

venerdì 6 settembre 2013

Quando Napolitano considerava Assad “Un esempio di laicità”


Nel marzo 2010 Giorgio Napolitano fu il primo Presidente italiano ad andare in visita in Siria dove passò quattro giornate tra Ebla, noto sito archeologico e Aleppo. Scriveva sulla visita tg24.sky.it:
”Attenzione e cordialità che sono andate però oltre la pura formalità: protocollo a parte, i due presidenti insieme alle rispettive consorti si sono infatti incontrati informalmente in tre diverse occasioni, compresa una cena a quattro in un ristorante di Aleppo, dove le due coppie sono arrivate a bordo di un’auto guidata dallo stesso Assad.”
Le parole che usò il Presidente Napolitano per Assad erano al miele. Per Napolitano la Siria era un “esempio di laicità ed apertura” che “offre in medio oriente” e un esempio “per la tutela delle libertà assicurate alle antiche comunità cristiane”.
Oggi che la Siria è sotto la minaccia dei bombardamenti franco-americani l’Italia è ancora un amica della Siria? Napolitano è ancora della stessa opinione? Sarebbe auspicabile che queste parole dette solo tre anni fa diventassero la base per una politica italiana volta al mantenimento della pace nella regione.

Siria: Putin, aiuteremo Damasco in caso di attacco militare


SAN PITROBURGO - La Russia aiuterà la Siria in caso di attacco militare esterno contro Damasco, ha dichiarato il presidente russo Vladimir Putin.
"Aiuteremo la Siria in caso di attacco? Sicuramente sì," - ha detto nella conferenza stampa dopo il vertice del G20, rispondendo a una domanda di un giornalista. "Anche adesso l'aiutiamo, forniamo armi, cooperiamo in campo economico, mi auguro che ci sia più cooperazione in campo umanitario," - ha aggiunto il presidente. Secondo Putin, gli Stati Uniti e le altre nazioni se iniziassero un'operazione militare in Siria, agirebbero al di fuori del diritto internazionale, in quanto tali azioni sono possibili solo con l'autorizzazione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.

La verità sul disastro del modello tedesco


di Paolo Barnard

Ecco il disastro del modello tedesco, quello che secondo i tromboni televisivi dovrebbe essere il nostro modello. Le fonti sono autorevoli. Non aggiungo commenti, se non ci arrivate da soli…

- il modello di competitività della Germania porta un solo nome: tagliare gli stipendi. Solo abbassando i redditi la Germania è riuscita a rimanere la prima economia dell’Eurozona, perché è riuscita ad esportare masse di prodotti a costi bassi. Ci hanno guadagnato in due: le multinazionali Neomercantili tedesche, e i numerini sui computer del Tesoro di Berlino. Ci hanno perso tutti gli altri tedeschi. 

- la bassa disoccupazione tedesca è una truffa: hanno creato posti di lavoro part-time, flessibili, a stipendi da miseria e senza le tutele sociali delle generazioni precedenti, e li hanno contati come occupazione. Oggi la Germania ha la proporzione più alta di lavoratori sotto-pagati, a fronte del reddito nazionale medio, di tutta l’Europa.

- la Germania ha avuto stipendi medi stagnanti e non al passo dell’inflazione per 10 anni.

- gli investimenti in Germania sono calati di continuo dal 1991, le aziende non hanno investito, e gli investimenti nelle infrastrutture pubbliche sono calati ancor di più.

- la Germania ha il tasso di giovani lavoratori con istruzione superiore più basso fra Canada, Giappone, USA, Francia, Spagna e Gran Bretagna. Berlino non ha affatto investito nelle sue università pubbliche, e nemmeno il settore privato ha fatto gran che in questo settore. 

- la sbandierata produttività della Germania pro capite è una bufala. Il PIL prodotto in Germania x ora lavorata è il più basso di tutta la media OCSE. Di fatto le aziende tedesche possono competere solo tagliando gli stipendi e producendo nell’Est europeo.

- l’ossessione tedesca per l’export ha impedito al governo d’investire in settori di infrastrutture, istruzione e tecnologia, penalizzando proprio gli stipendi medi dei tedeschi.

- la Germania si è ficcata in una dipendenza totale dalla domanda di altri Paesi per i suoi prodotti, soprattutto dipende dai capricci della Cina, e questo ha paralizzato la ricchezza della sua classe lavorativa.

Questa è la verità del tanto sbandierato modello tedesco, nel nome del quale gente come Monti o Letta stanno devastando l’Italia. Non so come dirlo, ma veramente il livello dell’informazione che i media italiani vi forniscono non è neppure al livello di… di… bè, vorrei usare un termine moderato, e scelgo questo: spazzarcisi il culo. 

* dati da OCSE, German Institute for Economic Research e Peterson Institute for International Economics

Pensioni d’oro, argento e bronzo: ecco il podio


Dopo le prese di posizione del ministro Giovannini per un sistema delle pensioni più equo, le tabelle Istat: 882 pensioni d'oro da 20mila euro al mese, 8mila sopra i 10mila euro.

Il problema non sono solo le pensioni d’oro, ma anche quelle d’argento e di bronzo: il ministro del Lavoro Enrico Giovannini è interventuo a più riprese sulla questione pensioni, dopo che nei mesi scorsi la Consulta ha bocciato per incostituzionalità i prelievi straordinari previsti dalla prima finanziaria dell’estate 2011 (leggi la sentenza sulle pensioni d’oro). Come noto, allo studio di governo e Parlamento ci sono misure per rendano più equo unsistema previdenziale che, negli ultimi anni, ha chiesto sacrifici anche grossi ai lavoratori e all’interno del quale continuano a sopravvivere trattamenti sempre più avvertiti come privilegi (ecco le varie misure allo studio).

Secondo Giovannini bisognerebbe intervenire non solo sulle pensioni che superano i 20mila euro al mese ma anche su importi più bassi, in nome di un criterio di maggior giustizia sociale. Nel frattempo, il ministero ha chiesto e ottenuto i dati Inps che fotografano la realtà delle cosiddette pensioni d’oro: a percepire almeno 20mila euro al mese (fra 41 e 42 volte il minimo, per una pensione media annua pari ad almeno 259mila euro) sono solo 882 pensionati su un totale di 16.533.152.  La stragrande maggioranza dei pensionati percepisce fino a 1.443 euro al mese; l’importo medio annuo della pensione italiana, comprensiva di rateo della tredicesima, è intorno ai 16.300 euro.
Fra gli 882 pensionati milionari, ce ne sono 291 il cui trattamento supera di 50 volte il minimo, ovvero è superiore a 394mila 900 euro all’anno. Qualche dato sulle cosiddette pensioni d’argento e di bronzo? Sopra i 10mila euro al mese (significa almeno 21 volte il minimo) ma sotto i 20mila euro ci sono circa 8mila persone, che percepiscono un assegno fra i 134mila e i 259mila euro all’anno. Fra 4.800 e 10mila euro al mese (ovvero da 10 a venti volte il minimo) ci sono oltre 179mila pensionati. Si tratta di assegni compresi fra i 65mila e i 134mila euro all’anno.Fonte: tabelle Inps sulle pensioni 2012.

mercoledì 4 settembre 2013

John Kerry a pranzo da Assad


Sopra: il Segretario di Stato nella foto pranza con Assad e sua moglie in un ristorante Damasco  prima che scoppiasse la crisi con la Siria. (Photo Credit: Agence France-Presse)

"Cena intima di Kerry con quello che recentemente ha definito l'Hitler siriano: il Segretario di Stato e l'uomo che ha paragonato al dittatore tedesco sono fotografati a pranzo con le rispettive mogli in un ristorante di Damasco prima dello scoppiò la guerra civile, l'Agence France-Press. 
 
La foto è stata scattata probabilmente nel 2009, curioso, sapendo che Kerry è stato nominato Segretario di Stato il 1° febbraio 2012. Sarebbe interessante conoscere in quale veste ha partecipato all'incontro. Rimane il fatto che proprio Kerry continua a mettere in guardia circa i pericoli del nemico siriano reclamizzando la retorica di Obama dove si accusa i siriani di aver attaccato e ucciso il proprio popolo con sostanze chimiche.
  
(Photo Credit: Facebook)
 
Attualmente il Congresso è in pausa ma sia i Repubblicani che i Democratici hanno avvisato Obama che  non ha alcun diritto di attaccare la Siria senza la loro autorizzazione.
 
Fonte: Agence France-Presse, Daily Mail

martedì 3 settembre 2013

Carlo Remeny a Radio Italia IRIB: accuse infondate contro governo siriano per deviare attenzioni da massacro in Egitto


TEHERAN (RADIO ITALIA IRIB) - Carlo Remeny direttore responsabile del sito d’informazione arabmonitor parlando ai nostri microfoni ha detto:

”La stessa accusa di attacco chimico che viene rivolta al governo siriano, e’ avvenuta per deviare l’attenzione dell’opinione pubblica internazionale dai crimini che sono state per settimane commessi in Egitto da parte di questi macellai che hanno preso in man oil potere. E quindi era talmente evidente agli occhi del mondo che il nuovo regime egiziano era un regime di assassini inpresentabile, che in qualche mod oil loro padrino- sponsor ha ritenuto necessario spostare l’attenzione dell’opinione pubblico su un altro scenario…. “.

seguire il link per l'intervista audio

lunedì 2 settembre 2013

LA RUSSIA RIVEDE IL DEBITO CON CIPRO E GLI USA NON COLPIRANNO LA SIRIA

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DI TYLER DURDEN

Ieri pomeriggio, la Russia ha accettato di ristrutturare le condizioni del prestito di 2,5 miliardi di euro fatto a Cipro, richiedendo, fino al 2016, solo il pagamento di cedole semestrali con interessi (molto più accessibili) al 2,5% e rinviando la restituzione del capitale ai quattro anni successivi. 

Benché probabilmente questo sia ancora poco per la disperata economia dell’isola, questo è già un passo avanti. Naturalmente, questa 'offerta' da parte della Russia ha il suo quid pro quo. 

Questa mattina, il Ministro degli Esteri Ioannis Kasoulides ha dichiarato che territorio di Cipro non sarà utilizzato per il lancio di attacchi militari contro la Siria, perchè "Cipro vuole mantenere il suo ruolo di rifugio, in caso di necessità, per i cittadini di paesi amici che scappino dal Medio Oriente" 
Sembrerebbe che l'influenza di Obama stia svanendo ovunque ...” 

Cipro si trova a 183 miglia nautiche a ovest della Siria ed è il paese della UE più vicino alla Siria. 

La Russia ristruttura il prestito di Cipro 

Il governo russo ha approvato la ristrutturazione delle condizioni del prestito russo a Cipro, ha detto venerdì il Vice Ministro delle Finanze Sergei Storchak. 

"La ristrutturazione è stata approvata durante l'ultima riunione del Consiglio dei Ministri". Cipro dovrà rimborsare alla Russia il prestito di 2,5 miliardi di euro in otto rate semestrali a partire dal 2016, ha detto oggi ai giornalisti il Vice Ministro delle Finanze Sergey Storchak, riferendo sulla revisione dei termini del rimborso deliberata nell'ultima riunione di gabinetto. Il tasso di interesse è stato ridotto dal 4,5 % al 2,5 %. 

Nel 2011 la Russia ha già prorogato lo stesso prestito per altri quattro anni e mezzo. 

LE BASI UK A CIPRO 
( Estratto da Bloomberg ) 

Il Regno Unito ha due proprie basi militari a Cipro, e nonostante il voto contrario agli attacchi, il Ministero della Difesa britannico oggi ha detto che sei Typhoon della RAF sono posizionati nella base britannica di Akrotiri a Cipro come misura precauzionale "per proteggere le basi britanniche sull'isola" 

CIPRO CAMPO PROFUGHI 
( Estratto da Bloomberg ) 

Oggi a Nicosia il Ministro degli Esteri Cipro Ioannis Kasoulides ha dichiarato ai giornalisti che il suo paese è pronto a qualsiasi affluenza di cittadini stranieri in caso di azione militare contro la Siria. Cipro può accogliere fino a 10.000 persone al giorno se resteranno sull’isola fino a 48 ore prima del rimpatrio (nel 2006 Cipro accolse più di 40.000 sfollati dal Libano dopo 2 settimane di combattimento tra le forze israeliane e i miliziani di Hezbollah)

CIPRO RIFIUTA DI AUTORIZZARE ATTACCHI DAL SUO TERRITORIO CONTRO LA SIRIA 
( Estratto da Bloomberg ) 

Secondo una trascrizione di un commento pubblicato sul sito web dell’Ufficio Stampa del Governo, il Ministro degli Esteri Ioannis Kasoulides ha assicurato il territorio di Cipro non sarà utilizzato per lanciare attacchi militari contro la Siria Kasoulides ha commentato inoltre che "Cipro vuole mantenere il suo ruolo di rifugio, in caso di necessità, per i cittadini di paesi amici che scappino dal Medio Oriente” 

Quindi, sembra che ci sia un 'quid ' ed un 'quo ' ... E dopo? Gli Stati Uniti cominceranno ad offrirsi di costruire un casinò a Cipro o di dare “Google-Glass” e “American Idol" gratis a tutti? 

Tyler Durden
31.08.2013

Traduzione per www.ComeDonChisciotte.org a cura di BOSQUE PRIMARIO

L’ultima aberrazione del “politically correct”: il Comune di Venezia vuole abolire le parole “mamma” e “papà”


di Aldo Di Lello
Tutto ci potevamo immaginare meno che le parole mamma e papà potessero diventare impronunciabili, quasi fossero bestemmie. E invece è proprio quello che potrebbe accadere al Comune di Venezia se passasse la proposta della consigliera con delega sui diritti civili Camilla Selbezzi, eletta nella lista civica (di sinistra) “In Comune” , che sostiene le posizioni di Gianfranco Bettin, già deputato dei Verdi. La vulcanica Camilla, vera e propria pasionaria del politically correct, ha proposto di sostituire, nel moduli comunali, le prime parole che ogni essere umano pronuncia nella sua vita, con “primo e secondo genitore”. Il motivo è evidente: non discriminare le coppie gay che dovessero allevare un bambino.
Non sappiamo se ridere o se piangere. Vogliamo sperare solo che si tratti di una provocazione scaturita da qualche colpo di sole di fine agosto. Perché, se così non fosse, ci sarebbe seriamente da essere preoccupati per il fatto che ci sono pubblici rappresentanti che vorrebbero abolire leggi naturali a colpi di carta bollata.

Proviamo solo a immaginare come sarebbe il linguaggio corrente nel mondo sognato dalla consigliera Selbezzi. Se non esistessero più “mamma” e “papà” , ma solo “primo” e “secondo” genitore, dovrebbero sparire anche i nonni (perché questi sono, inevitabilmente, o paterni o materni), così pure le altre figure legate da vincoli di consanguineità. Che fare in tal caso? Sicuramente una successiva delibera comunale istituirebbe i parenti di “fascia A” , quelli di “fascia B” e seguenti. E che avverrebbe poi nel caso delle Festività natalizie? Premesso che il politically correct sta facendo progressivamente sparire il presepe dalle scuole pubbliche, si porrebbe il problema di Babbo Natale. La parola “babbo” non dovrebbe infatti comparire in alcun documento comunale, o atto della Giunta oppure del Consiglio. E allora la creatività della burocrazia imporrebbe sicuramente definizioni del tipo: “erogatore di servizi natalizi a domicilio abilitato alla guida di mezzi di locomozione a trazione animale” . Gli animalisti potrebbero però piantare una grana per via dello sfruttamento capitalistico del lavoro delle renne. E allora anche il nome di Babbo Natale finirebbe probabilmente sbianchettato dal documenti comunali, in attesa che il titolare del servizio sia dotato di una adeguato mezzo di trasporto in regola con i parametri di Bruxelles. E gli esempi potrebbero continuare a lungo. Però ci fermiamo qui per non suscitare ulteriormente le ire dei nostri lettori, molti dei quali staranno sicuramente formulando il seguente auspicio: «Ma perché questi ideologi del politicamente corretto non se ne vanno a fare in… Pacs ?»
letto su: Oltre la Coltre

Usa: Ron Paul denuncia bugie su attacco chimico in Siria


WASHINGTON - L'ex deputato del Congresso statunitense per lo Stato del Texas, Ron Paul ha detto alla FOXnews che l’attacco alla Siria e' la “false flag”, la falsa bandiera di Obama, premio Nobel della Pace.


Washington accusa il governo siriano del presidente Bashar al-Assad di aver lanciato un attacco chimico il 21 agosto contro le postazioni deimilitanti nei pressi di Damasco e percio' deve essere "punito". Ma dopo il no della Gran Bretagna e della Nato, il presidente americano si sta preparando ad agire da solo, anche perché "a differenza del coinvolgimento degli Stati Uniti nel 2011 in Libia, le opzioni in considerazione per la Siria sono di scala inferiore e non richiederebbero una coalizione", ha scritto da parte sua il Wall Street Journal citando alcune fonti dell'amministrazione.

"Sicuramente a trarre beneficio da un eventuale intervento militare in Siria sono quelli di al-Qaeda", ha aggiunto Paul intervistato da Fox News. "Un paio di missili vengono sparati, un numero di persone perdono la vita e la colpa viene data al goveno di Assad", ha osservato. Secondo Paul "il piano d'attacco alla Siria assomiglia moltoallo scenario che porto' all'aggressione contro l'Iraq nel 2003 quando gli Stati Uniti accusarono il regime di Saddam Hussein di essere in possesso di armi di distruzione di massa (WMD) del programma. L'intelligenzaamericana e' stata successivamente screditata". "Basta guardare quante bugie ci hanno raccontato di SaddamHussein. Era pura propaganda", ha dichiarato. "Per quanto riguarda la Siria penso davvero che tutto sta avvenendo sotto la falsa bandiera della democrazia e dei diritti umani".

GUERRA DI AGGRESSIONE ALLA SIRIA: IL GOVERNO LETTA PRONTO ALL'EMERGENZA IL 2 AGOSTO 2013



a cura di Gianni Lannes

Niente di nuovo nell'Italietta delle banane. Politica eterodiretta dall'estero. Emergenze a tavolino, deroghe alle leggi vigenti, più di tutto la guerra infinita a rimorchio di interessi imperiali di dominio del mondo.
Come è possibile che uno affiliato a famigerate organizzazioni terroristiche come il Bilderberg e la Trilateral sia capo del Governo tricolore?























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